Gli scacchi nella mitologia di Rennes-le-Château
Giovedì 28 ottobre 2010 by Mariano Tomatis
A differenza di altri nobili giochi da tavolo come il backgammon, il bridge e la roulette, gli scacchi non ammettono la casualità tra gli elementi che ne costituiscono la struttura; non ci sono dadi da tirare, carte da mescolare o ruote da far girare, né c'è alcunché da nascondere: la situazione è palese per entrambi i giocatori, che hanno a disposizione, per prevalere sull'avversario, solo ed esclusivamente la propria mente e la propria abilità di analisi.
Nonostante, per queste ragioni, gli scacchi siano in apparenza il gioco che maggiormente incarna gli ideali della razionalità pura, nel corso della loro Storia hanno più volte evocato scenari irrazionali quando non del tutto mistificatori. Il primo "macchinario" in grado di giocare a scacchi e sconfiggere addirittura l'imperatore Napoleone III, l'automa del barone Von Kempelen (1734-1804), era in realtà un elaborato ed ingegnoso gioco di prestigio che celava al suo interno un giocatore umano di minute dimensioni, che dall'interno muoveva una serie di braccia meccaniche per dare l'illusione di essere un robot semovente; l'inganno era stato perfetto, e soltanto Edgar Allan Poe (1809-1849), durante il tour americano dell'automa, aveva svelato pubblicamente il trucco che rendeva possibile quel miracolo.(1)
L'intrinseca ambiguità del simbolismo di ognuno dei pezzi che compongono la scacchiera (a partire dalla dicotomia bianco/nero evidenziata sia dal piano di gioco, sia dai colori dei pezzi in campo) ha fatto sì che gli scacchi comparissero in opere visionarie e ricche di suggestioni letterarie come i racconti di Borges e i romanzi di Umberto Eco; ne Il nome della rosa, ad esempio, si cita ironicamente lo pseudobiblium di Milo Temesvar "Sull'uso degli specchi nel gioco degli scacchi": Temesvar, nome di un autore fittizio creato dallo stesso Borges, ritornerà più di recente in un articolo-parodia di Eco su un'interpretazione in chiave omosessuale dell'Ultima Cena leonardesca.
Il "mito agglutinante" di Rennes-le-Château non poteva essere immune dalla contaminazione culturale degli scacchi, e Pierre Plantard - tra i più geniali e prolifici "plasmatori" della mitologia oggi più nota - vi introdurrà effettivamente diversi elementi "scacchistici".
Saunière e gli scacchi
Non si ha notizia di un interesse specifico, da parte di Bérenger Saunière, per il gioco degli scacchi; sono piuttosto alcune opere architettoniche a mostrare i legami tra il sacerdote e la scacchiera, a cominciare dal pavimento della chiesa di Santa Maddalena, fatto installare nel 1887 durante i primissimi lavori di restauro.
Pianta della chiesa di Santa Maddalena con il pavimento a scacchi in evidenza.
Quella che è una decorazione molto comune in molte chiese cattoliche - ma non solo: si ritrova anche in moltissime abitazioni private dell'epoca - è stata ritenuta la prova di un'affilazione, da parte di Saunière, a qualche loggia massonica, dal momento che i templi della Massoneria hanno il pavimento a scacchiera. Questo farebbe della chiesa di Rennes-le-Château, secondo alcuni autori, un tempio massonico.(2)
Sono noti i legami tra la Maison Giscard, incaricata dell'installazione del complesso statuario nella chiesa di Santa Maddalena, e la Massoneria, ma il coinvolgimento della casa di Tolosa risale al 1891 con l'installazione del pulpito, mentre i lavori di restauro del pavimento risalgono a quattro anni prima. L'ipotesi che Saunière intendesse celare nelle decorazioni della sua parrocchia i simboli di un tempio massonico non tiene conto di una linea politica dimostrata in maniera esplicita durante tutta la sua attività sacerdotale: reazionario convinto, egli si schierò sempre contro il laicismo e le forze repubblicane, cui la Massoneria era molto legata, e per queste posizioni - espresse con veemenza dal pulpito della sua chiesa - fu addirittura sospeso dal suo incarico per alcuni mesi dopo le elezioni del 1885, vinte dai repubblicani.
Viene da pensare ad una scacchiera se si osserva, dall'alto, la pavimentazione della Tour Magdala.
Il pavimento della Tour Magdala.
Le 256 piastrelle decorate sono disposte a formare un casellario di otto riquadri per lato su cui si potrebbe facilmente giocare a scacchi - con l'unico limite dell'assenza di colori alternati bianco e nero. Lo stesso pavimento mostra una singolare bizzarria: la casella angolare, situata in corrispondenza dell'ingresso della scala a chiocciola che conduce al piano superiore della Tour e costituita - come tutte le altre - da quattro piastrelle, mostra una piastrella "anomala"; il suo angolo è, a differenza di tutte le altre 255, di colore rosso.
In alto a sinistra: la mattonella anomala.
Esiste una curiosa relazione tra la posizione della torretta circolare che sovrasta la Tour Magdala e la casella corrispondente sul pavimento: la torretta si trova, infatti, in corrispondenza della casella angolare, e nel gioco degli scacchi le caselle angolari sono proprio quelle su cui vengono disposte le torri all'inizio della partita. Forse anche la serra che si trova all'altro estremo del camminamento semicircolare mostrava, all'epoca, una pavimentazione identica a quella della Tour Magdala: purtroppo le piastrelle che lo costituivano sono gravemente danneggiate, e non ne rimane che qualche frammento.
Cambiando scala, c'è chi ritiene che l'intero giardino delimitato dal camminamento semicircolare rappresenti simbolicamente un'enorme scacchiera: data la sua pianta, la Tour Magdala e la serra si collocano correttamente ai due angoli opposti di un ideale casellario, in corrispondenza dei due punti esatti in cui verrebbero a trovarsi le torri all'inizio di ogni partita.(3)
Il giardino sovrapposto alla scacchiera.
Si tratta di ipotesi e interpretazioni affascinanti, che mancano il punto per una sola ragione: si limitano, infatti, a fotografare la realtà così com'è, senza condurre ad ulteriori scoperte in linea con la teoria avanzata. Offrono, infatti, la possibilità di romanzare sulle suggestioni del simbolo identificato - facendo pensare ad un sacerdote costantemente in bilico tra le forze del bene e del male, vittima di una profonda nostalgia per il pensiero cataro e il suo dualismo mirabilmente espresso sulla scacchiera, o forse segretamente legato ad ambienti massonici, seppur pubblicamente lontano dal laicismo e dall'anticlericalesimo delle logge francesi dell'epoca - ma le stesse suggestioni sono poi storicamente sterili, non soltanto perché non trovano conferme documentali di alcun tipo, ma soprattutto perché non offrono spunti per ulteriori ritrovamenti (se nei giardini di Saunière in corrispondenza delle caselle angolari ci sono due torri, ci si dovrebbe aspettare "almeno" qualche altra sovrapposizione tra elementi architettonici e gli altri pezzi, ma dove sono?) né mostrano la predittività che ci si attenderebbe da teorie fondate e "funzionanti".
Ma fu proprio la fecondità del simbolo ad ispirare personaggi come Pierre Plantard nella costruzione della mitologia del Priorato di Sion.
Pierre Plantard e gli scacchi
Alcune caratteristiche topografiche dei territori intorno a Rennes-le-Château consentono una lettura in chiave scacchistica che Pierre Plantard propose in diversi dei documenti da lui compilati tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del XX secolo. Le due montagne del Blanchefort e del Rocho Negro, a poca distanza l'una dall'altra, prendono il nome proprio dai loro tipici colori, consentendo di elaborare l'immagine simbolica di due giganti - l'uno espressione della luce, l'altro delle tenebre.
Il riferimento storico cui si appellò Plantard fu il libro di Henri Boudet La Vraie Langue Celtique, in cui il sacerdote scriveva: "Sulla riva sinistra della Sals, il cromleck comincia alla roccia di Blancfort. La punta naturale di questa roccia fu spianata, nel medioevo, per permettere la costruzione di un fortino come punto di osservazione. Restano ancora alcune tracce in muratura che manifestano l'esistenza di questo fortino. Questa roccia bianca che colpisce gli occhi all'improvviso, è seguita da uno strato di rocce nerastre, che si estende fino a Roko Négro. Questa particolarità ha fatto dare a questa roccia bianca, posta sopra rocce nere, il nome di Blancfort - blank, bianco, - forth, in testa, sopra, avanti."(4)
Secondo la lettura "iniziatica" che Plantard propose nel 1978 nell'edizione Belfond del libro del sacerdote francese, nel descrivere le due montagne Boudet si riferiva in modo occulto all'acquasantiera della chiesa di Rennes-le-Château e al fonte battesimale; il tutto ruoterebbe intorno alla contrapposizione del bianco e del nero, celata nei seguenti elementi:
Sull'acquasantiera compare la scritta PAR CE SIGNE TU LE VAINCRAS. Poiché le lettere LE non dovrebbero comparire in una traduzione letterale della frase latina IN HOC SIGNO VINCES, tale anomalia avrebbe un chiaro riferimento ai Cavalieri Templari: le due lettere, infatti, si trovano alla 13ma e 14ma posizione all'interno della frase, componendo così il numero 1314 che è la data della scomparsa dell'Ordine Templare, il cui stendardo, il mitico Beaucéant, era suddiviso in due fasce, bianca e nera.
L'acquasantiera è sorretta da un demone inginocchiato, parzialmente inclinato rispetto all'asse della chiesa. Sulla parete nord della stessa, in corrispondenza del fonte battesimale, compare il complesso statuario di Giovanni Battista e Gesù; anche quest'ultimo si trova inginocchiato, e - come il diavolo - sembra osservare un punto al centro della pavimentazione a scacchi al fondo della chiesa. L'idea è che i due avversari si stiano sfidando in una simbolica partita a scacchi tra la luce e le tenebre, e il piano di gioco sia costituito da un'immaginaria scacchiera di 64 caselle ricavata sul pavimento della chiesa di S. Maddalena.
Il messaggio che Plantard intendeva veicolare è esplicito: La Vraie Langue Celtique è un libro a chiave, che va letto cercando nel testo i riferimenti alla chiesa di Rennes-le-Château. Ma poiché nello scenario ipotizzato da Plantard le decorazioni furono installate dalla coppia Saunière-Boudet, è vero anche il viceversa: la chiesa di Santa Maddalena è la versione architettonica del libro di Boudet, e i suoi elementi sono simbolicamente legati ad alcune caratteristiche topografiche della zona. Dunque la mano del diavolo sotto l'acquasantiera, chiusa a formare un cerchio, farebbe riferimento alla "Fonte del Cerchio", nei pressi di Rennes-les-Bains, eccetera.
L'esoterista francese lo esprimeva così: "Queste illustrazioni le troviamo nella chiesa di Rennes-le-Château. L'abate Henri Boudet ne è l'ideatore e l'architetto. […] L'autore della Vera Lingua Celtica aveva fatto posizionare in una nicchia nell'atrio della sua chiesa parrocchiale una croce su un pilastro di pietra riportante il motto di Costantino In hoc signo vinces la cui traduzione esatta è: Per questo segno vincerai. Di nuovo fa riprodurre l'iscrizione sull'acquasantiera sostenuta dal diavolo a Rennes-le-Château ma con una variante; questa volta vi si può leggere: Par ce signe tu le vaincras. Alle 20 lettere del motto si sono aggiunte 2 lettere per ottenere il numero 22 del tarocco, quello che contrassegna l'eclair, l'illuminato. Le lettere aggiunte sono la 13 e la 14, dunque 1314. Questa data è quella della scomparsa dell'Ordine del Tempio il cui stendardo Beau-Céan era nero e bianco. Ora, il diavolo fissa con i suoi occhi di vetro la scacchiera formata dal pavimento nero e bianco. Di nuovo l'abate Boudet dà un'illustrazione del suo libro, laddove insiste sul Bianco ed il Nero, nella citazione su Blanchefort "questa roccia bianca che colpisce gli occhi, tutt'intorno circondata da una base di rocce nerastre, che si esdendono fino a Roko Negro" (pag. 231), dal giorno alla notte. I due preti hanno firmato questo lavoro, perché a ridosso del diavolo, sostenuto da due basilischi (piccoli re) legati da un anello, si trova un medaglione rosso con le lettere in oro B.S., iniziali di Boudet-Saunière. Il lettore comprenderà che questa prefazione non potrebbe bastare per descrivere tutte le decorazioni della chiesa di Rennes-le-Château, che altro non è se non l'illustrazione del libro dell'abate Boudet e la rappresentazione simbolica dei luoghi di Rennes-les-Bains."(5)
Pierre Jarnac affermò che l'ipotesi della scacchiera al fondo della chiesa proposta da Plantard fosse anacronistica: il pavimento fatto installare da Saunière non sarebbe stato bianco e nero, ma tutto bianco; la scacchiera sarebbe stata installata solo dopo la morte del sacerdote, in un periodo imprecisato. Per provare questa affermazione, Jarnac pubblicò sul suo Histoire du trésor de Rennes-le-Château una fotografia fatta realizzare da Saunière per il suo set di cartoline, in cui il pavimento della chiesa sembrava effettivamente tutto bianco.(6)
La cartolina in cui il pavimento della chiesa appare completamente bianco.
La fotografia, in realtà, non è affatto l'elemento conclusivo su questa questione: il colore falsato è dovuto con ogni probabilità ad una sovraesposizione della fotografia, conseguente al buio del luogo in cui è stata scattata.(7)
Più forte è l'obiezione che fa notare che non esiste alcuna scacchiera di 64 caselle ben definita: a differenza di quanto riportato in alcune guide "tendenziose", la scacchiera ideale ipotizzata da Plantard va visualizzata senza l'aiuto di alcuna guida presente sul terreno, dal momento che le piastrelle si susseguono senza soluzione di continuità dall'ingresso laterale della chiesa fino al fonte battesimale, estendendosi ad est in una striscia attraverso i banchi della chiesa e terminando con una seconda fascia, parallela alla prima, che va dal pulpito alla statua di Sant'Antonio da Padova.
Il pavimento al fondo della chiesa nella fotografia pubblicata nel 1967 da Gérard de Sède. L’editor è stato costretto ad indicare la scacchiera con una linea tratteggiata perché non è indicata altrimenti.
E' comunque da segnalare la presenza di due "tagli" in diagonale che sembrano essere stati collocati per facilitare l'interpretazione suggerita da Plantard: disposti simmetricamente ai due lati del camminamento centrale, sembrano suggerire la presenza di un angolo da rispettare che ben si adatterebbe alla scacchiera ideale su cui si scontrano Gesù e il demone.
Particolare delle mattonelle al fondo della chiesa
Un documento venuto alla luce soltanto nel luglio 2006, pubblicato dal giornalista francese Jean-Luc Chaumeil, rivela un esplicito interesse da parte di Plantard per la simbologia degli scacchi; il documento è la trascrizione di una conferenza che l'esoterista tenne il 6 giugno 1964 presso l'Hôtel de la Tour di Noël Corbu. Il suo intervento si aprì proprio sull'immagine del demone che osservava la scacchiera sul pavimento della chiesa; a proposito degli scacchi, Plantard citò il celebre aneddoto secondo cui il gioco sarebbe nato in Oriente, e il suo inventore avrebbe chiesto come ricompensa un chicco di grano sulla prima casella, due sulla seconda, quattro sulla terza e così via, raddoppiando ogni volta la posta. E' controintuitivo, ma non esistono al mondo tanti chicchi di grano in grado di soddisfare una richiesta del genere!
Plantard aggiunse inoltre che nel XII secolo gli scacchi erano un simbolo regale, e che i duchi di Normandia prendevano le loro decisioni più importanti su un tavolo ricoperto da una tovaglia decorata con una scacchiera. Introducendo un motivo ripreso nella sua rivista Circuit, Plantard spiegò che le sessantaquattro caselle hanno ognuna un diverso significato simbolico e numerico, e possono essere associate ognuna ad un diverso esagramma dell'I-Ching.
De Chérisey e gli scacchi
Sarà il sodale di Plantard, Philippe De Chérisey, a riprendere altri elementi scacchistici e ad inserirli nella nascente mitologia del Priorato di Sion; tra questi non si può non citare la figura del Cavallo. In una delle due pergamene cifrate si parla di uno Cheval de Dieu: il riferimento è in parte circolare, dal momento che lo stesso procedimento di estrazione del messaggio cifrato segue - in uno dei suoi passi - il gioco del "salto del cavallo degli scacchi".
Il problema del "salto del cavallo degli scacchi", oggi di pertinenza della teoria dei grafi, era noto già nell'antichità, ma il primo a proporlo "ufficialmente" alla comunità dei matematici fu Brook Taylor (1685-1731) nei primi anni del Settecento. I primi a risolverlo furono Abraham de Moivre (1667-1754) e Pierre Rémond de Montmort (1678-1719), e il primo a formalizzarlo fu Leonhard Euler (1707-1783) nel 1759. Oggetto del problema era lo studio della possibilità, da parte del cavallo degli scacchi, di occupare successivamente tutte le caselle della scacchiera muovendolo con la tipica mossa "a elle" in esattamente 63 mosse, senza mai tornare su una casella già visitata.
La recente pubblicazione del manoscritto di Philippe De Chérisey, Pierre et Papier, ci consente di ricostruire con precisione il procedimento seguito per codificare le due pergamene diffuse per la prima volta da Gérard de Sède nel suo L'Or de Rennes nel 1967. Per realizzare la Grande Pergamena, De Chérisey trascrisse la prima metà del messaggio da codificare (complessivamente di 128 caratteri) su una scacchiera, disponendo le lettere una dopo l'altra lungo un tragitto che costituisce una soluzione del problema del "salto del cavallo". Giunto alla sessantaquattresima lettera, l'autore trascrisse la seconda metà del messaggio su una seconda scacchiera, seguendo un percorso verticalmente speculare rispetto al primo.
I due percorsi del “Salto del Cavallo degli Scacchi” utilizzati per cifrare la Grande Pergamena. I due sono verticalmente speculari.
In questo modo, l'unica possibilità di risalire al messaggio corretto sarebbe stata quella di identificare la sequenza utilizzata tra le milioni di soluzioni possibili. Trattandosi di un percorso ciclico, possiamo concludere che la soluzione fosse stata ispirata ai lavori di Eulero che fu il primo ad affrontare il problema della ciclicità dal punto di vista teorico.
Accostate in modo che la prima scacchiera così compilata si trovasse a sinistra della seconda, queste produssero un testo di 128 lettere che erano l'anagramma del messaggio originario: a questa nuova sequenza l'autore applicò due sostituzioni polialfabetiche, producendo una nuova stringa di 128 caratteri poi celata, a passi di 6 caratteri, in un testo evangelico più lungo.
La pergamena così concepita cela in sé una notevole (e sottilissima) ironia, dal momento che richiede al solutore di utilizzare il "salto del cavallo" per risolverla, e restituisce - a chi riesce a "violarla" - un messaggio che afferma che proprio "attraverso questo cavallo di Dio" si può sconfiggere il demone guardiano: se il demone è colui che fa la guardia al messaggio cifrato, nessun consiglio potrebbe essere più azzeccato (e tardivo, dal momento che si svela soltanto dopo che il solutore l'ha identificato per conto suo!).
E' lo stesso autore della pergamena a compiacersene nelle ultime pagine del suo manoscritto, dove ammette esplicitamente che lo "Cheval de Dieu è una sorta di strizzata d'occhio amichevole verso colui che ha usato il salto del cavallo per decodificare il messaggio."(8)
De Chérisey prosegue spiegando che nel XII sec. Goffredo di Buglione avrebbe fondato una vera e propria società di giocatori di scacchi presso le Scuderie di Re Salomone, e proprio dal salto del cavallo avrebbero preso spunto i Templari per disegnare la loro croce patente. Il tema ritornerà anche sulla rivista Circuit, ed è particolarmente bizzarro. Qui è illustrato il concetto:
Il numero massimo di mosse legali del cavallo degli scacchi è otto; collegando opportunamente tra loro le caselle raggiungibili dal cavallo si può ottenere una croce patente. Sul punto, De Chérisey è esplicito: "La croce patente dei Templari non è altro che un modo di interpretare il salto del cavallo. Molte altre croci sono nate sullo stesso modello: quella di Malta, dei Trinitari, ecc. Ma i Templari ci tenevano a manifestare la loro parentela con la scacchiera ed aggiunsero al centro della croce il simbolo del cavallo montato da due cavalieri."(9)
Va sottolineato, comunque, che - così com'è concepito - il problema della decodifica della Grande Pergamena è insolubile anche da un calcolatore: poiché i percorsi del salto del cavallo sulla scacchiera sono in numero enorme, anche una volta identificati i primi passi di decodifica polialfabetica, non esiste alcun computer in grado di identificare il percorso corretto in grado di estrarre dalla stringa di partenza il messaggio cifrato; ciò significa che per offrire la possibilità ad altri di decodificare il messaggio, l'autore sarebbe stato costretto a nascondere da qualche parte il percorso seguito, cui nessun decrittatore (umano e non) sarebbe mai potuto risalire.
Coerentemente con il fatto che fu De Chérisey ad elaborarlo per realizzare la Grande Pergamena, tale percorso è stato segnalato per la prima volta dall'attore francese nel 1971 sul suo romanzo Circuit, quattro anni dopo l'uscita del libro di Gérard de Sède. Se, come sostengono alcuni, De Chérisey non avesse davvero realizzato la codifica ma piuttosto decifrato l'opera realizzata da qualcuno che l'ha preceduto, significherebbe che insieme alla pergamena avrebbe trovato "qualcosa" in cui veniva rivelato il percorso corretto da seguire per decodificarla; in caso contrario, lui stesso non avrebbe mai potuto decifrarne il messaggio.
Le vicende narrate in Circuit sembrano suggerire il ritrovamento del percorso nel cimitero di Rennes-les-Bains: "Scava la terra sul lato sinistro della tomba, presso la vecchia pietra fiorita. Scopre una strana placca di rame ricoperta di verde e di grigio, con una griglia profondamente incisa. E' lei a fornire il percorso del salto del cavallo. Dopo un'accurata pulizia nel greto del fiume Sals che scorre lì vicino, Charlot li applica al testo delle due scacchiere prima citate, e così si può leggere: BERGERE PAS DE TENTATION..."(10)
La scena è ambientata presso il cimitero di Rennes-les-Bains, dove - secondo l'autore - la lapide di don Jean Vié (nato nel 1808, diventato sacerdote nel 1840 e morto nel 1872) fornirebbe l'indizio di utilizzare le scacchiere, dal momento che dalla nascita all'ordinazione ci sono 32 anni e dall'ordinazione alla morte altri 32: i primi sarebbero gli anni corrispondenti alle caselle bianche, gli altri quelli corrispondenti alle nere. Ad oggi, tale placca non è mai stata trovata, né si può sapere con certezza se sia mai esistita.
La tomba di Jean Vié a Rennes-les-Bains. Nato nel 1808, nominato sacerdote 32 anni dopo, morì 32 anni più tardi. Secondo il protagonista di Circuit la lapide sarebbe un indizio della necessità di usare una scacchiera per decifrare la pergamena.
In assenza di altri elementi, è lecito supporre che il messaggio sia stato nascosto dallo stesso che poi rivelò il metodo di decodifica.
Il manoscritto di De Chérisey Pierre et Papier conferma, inoltre, un altro sospetto: gli elementi correlati alla mitologia del Priorato di Sion mostrano sempre una doppia valenza, sia storica che geografica. Già la lettura del Serpent Rouge sembrava suggerire questa direzione di indagine: si è già visto, ad esempio, che il dualismo bianco/nero fa contemporaneamente riferimento ai Templari, il cui stendardo è di quei colori, e alle due cime del Blanchfort e del Roko Negro. Ciò vale anche per lo Cheval de Dieu. Sebbene De Chérisey spieghi in dettaglio i riferimenti al salto del cavallo per decifrare la Grande Pergamena, l'attore aggiunge che nei dintorni di Rennes-le-Château, esistono alcune formazioni rocciose che possono definirsi simbolicamente "Cavallo di Dio".
La prima si trova sul monte Serbaïrou, ed è costituita da una coppia di rocce che somigliano ad un cavallo accanto ad un altro più piccolo. La seconda si può trovare, secondo l'autore, seguendo la strada che da Couiza porta a Rennes: la descrizione del percorso è però molto laconica, e soltanto grazie ad alcuni studi sul terreno da parte di Mauro Vitali è stato possibile identificare il punto esatto cui faceva riferimento De Chérisey. La formazione rocciosa fronteggia la Tour Magdala costituendo una singolare opposizione simbolica tra due pezzi degli scacchi: la torre e il cavallo.
Vista dal camminamento circolare accanto alla Tour Magdala.
Pur essendo visibile dalla balconata panoramica di Rennes, la forma del cavallo è difficile da percepire perché da questa posizione la si osserva frontalmente e i particolari si confondono con le rocce circostanti. L'esatta collocazione dello Cheval de Dieu di pietra non è mai stata pubblicata in alcuna forma(11) e viene qui proposta per la prima volta. La formazione rocciosa si trova a nord-est di Soubirous, a metà strada tra il gruppo di case e la collina di Rennes-le-Château.
Lo Cheval de Dieu tra Soubirous e Rennes-le-Château. Come su una scacchiera, il cavallo fronteggia la Tour Magdala. Osservando il panorama dalla Tour, si trova a destra della grotta della Maddalena.
Identità e luogo
La scoperta della duplice valenza di ognuno degli elementi introdotti da Plantard può condurre ad uno stato di eccitazione interpretativa: se il "demone guardiano" è al tempo stesso la statua sotto l'acquasantiera e la località della Poltrona del Diavolo e se il cavallo degli scacchi è insieme la chiave per decifrare la pergamena e una formazione rocciosa, la tentazione di proseguire nelle identificazioni si fa forte… Facile identificare la Regina Bianca (Madre di Luigi il Santo e Sorgente nei pressi di Rennes-les-Bains), ma quella Nera chi è? E dove si trova? E che ne è di tutti gli altri pezzi? Dove (e chi) sono gli alfieri, i pedoni? Ma soprattutto, chi sono i due Re?
Esiste d'altronde un problema di più basso livello spesso ignorato: una volta identificato tale Scenario Definitivo, a quale mondo corrisponderà? A quello immaginato da Plantard? A quello in cui visse la sua vicenda storica Saunière? A quello nato nel 1967 dopo la pubblicaione de L'Or de Rennes? In altre parole, dov'è la scacchiera che stiamo studiando?
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(1) Edgar Allan Poe, "Maelzel's Chess-Player" in Southern Literary Journal, aprile 1836.
(2) E' il caso, ad esempio, di Roberto Volterri e Alessandro Piana, L'universo magico di Rennes-Le-Château, Milano: SurgarCo, 2004, pp.81-84 nel capitolo dall'eloquente titolo "Tempio massonico?". C'è da apprezzare il punto interrogativo. Si veda anche Jean Markale, Montségur et l'énigme cathare, Pygmalion, 2002, p.104.
(3) JP Pourtal, "Les inversions dans l'Histoire de Rennes-Le-Château"
(4) Henri Boudet, La Vraie Langue Celtique, pp.230-231 nella traduzione italiana di Domenico Migliaccio.
(5) Pierre Plantard in Henri Boudet, La Vraie Langue Celtique, Ed. Pierre Belfond, collection "les Classiques de l'Occultisme", Paris: 1978 (1886) nella traduzione italiana di Domenico Migliaccio.
(6) Pierre Jarnac, Histoire du trésor de Rennes-le-Château, Cazilhac: Belisane, 1998, nota a p.160.
(7) Jean-Jacques Bedu, Rennes-Le-Château autopsie d'un mythe, Loubatières, 2002, pp.67-68.
(8) Philippe De Chérisey, Pierre et Papier ora in Jean-Luc Chaumeil, Le Testament du Prieuré de Sion, Villeneuve de la Raho: Pégase, 2006, p.92.
(9) Ibidem.
(10) Philippe De Chérisey, Circuit, pubblicazione privata, 1971, p.127. Se si conta anche la copertina, la pagina in cui viene rivelato il messaggio di 128 lettere è la 128ma!
(11) In Christian Doumergue, L'Affaire de Rennes-le-Château, t.II, Arqa éditions, 2006, p.170 viene pubblicata la fotografia di un cavallo di pietra esplicitamente chiamato "Cheval de Dieu" che si troverebbe "tra Rennes-le-Château e Rennes-les-Bains"; purtroppo per il lettore, non ne viene indicata l'esatta collocazione.
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