Echi di Rennes-le-Château sull’Italia
News pubblicata il 12 dicembre 2019
Il Santo Graal è nascosto in Italia, tra le colline del Canavese? È l’ipotesi formulata da Mariano Tomatis nel 1996 in un libro appena ristampato: Il Santo Graal a Torre Canavese. Il volume approfondisce, tra l’altro, le singolari similitudini tra il villaggio piemontese e Rennes-le-Château: un parroco dalla vita curiosa, le pregresse voci su un tesoro nascosto, le tracce lasciate dai Templari, le simbologie occulte nelle decorazioni religiose.
Ma Torre Canavese non è la prima cittadina italiana associata a Rennes-le-Château. Giorgio Baietti, nato in Liguria e trasferito nel Monferrato, ha identificato le due Rennes-le-Château italiane nelle cittadine di Altare (in Liguria) e Saliceto (nel cuneese). Claudia Cinquemani Dragoni vive in Maremma e ha identificato la Rennes-le-Château italiana in una serie di località maremmane. Marcuzio Isauro vive a Treviso e ha trovato collegamenti con Rennes-le-Château a Santa Lucia di Piave (in provincia di Treviso): nei suoi articoli si interroga sulla cosiddetta “connessione veneta”. Alberto Schonwald abita in Romagna e – guarda caso – trova a Faenza una iscrizione in codice che fa riferimento a Rennes-le-Château. Mario Farneti vive e lavora a Gubbio, ed è l’autore (insieme a Bruno Bartoletti) di Gubbio: la Rennes-le-Château italiana.
Questa tendenza rivela un generale atteggiamento di invidia nei confronti dei cugini francesi: trovare tante piccole Rennes-le-Château italiane contribuisce a ridimensionare la mitologia d’oltralpe rivendicando un ruolo del nostro Paese nel Grande Complotto Universale. E poi il villaggio francese dista 550 chilometri dal confine italiano: troppi per alcuni e comunque al di fuori dei propri panorami quotidiani. All’epoca di Francesco d’Assisi si costruivano Via Crucis a grandezza naturale sulle colline dietro casa: servivano a offrire, a chi non poteva permettersi il viaggio in Terrasanta, una riproduzione artificiale delle terre ove era vissuto Gesù. Seguendo uno schema simile, le svariate Rennes-le-Château italiche stanno al villaggio originale come la Valle dei Templi di Gardaland sta a quella autentica.
Ciò che manca da tutti questi accostamenti è l’ironia: ciascun autore prende sul serio la propria ipotesi, convincendosi di aver riportato alla luce le tracce di una storia occulta e sotterranea. Il Santo Graal a Torre Canavese si prende gioco di tale atteggiamento, costringendo il lettore a interrogarsi sulla mancanza di rigore storico nella maggior parte dei libri dedicati all’enigma storico di Rennes-le-Château. Come scrive Mariano Tomatis,
Accanto ai testi [sul Graal] di area letteraria e filologica, di solito seri e accurati, esiste un filone archeologico più approssimativo e sgangherato; gli autori di questa corrente si dicono orgogliosi di sporcarsi le suole per fare “ricerca sul campo” e spesso rispondono in modo preciso all’interrogativo cruciale “Dove si trova il Santo Graal?”. Le ipotesi avanzate sono le più diverse. La coppa di Cristo è nascosta da qualche parte a Glastonbury. O forse no, è esposta alla venerazione dei fedeli come “Santo Cáliz” a Valencia. E chi può escludere che si tratti del minuscolo calice in alabastro, oggi custodito nello Shropshire inglese, o della coppa di legno nota come Nanteos Cup? E se fossimo tutti vittima di un malinteso? La reliquia che raccoglie il sangue di Cristo potrebbe essere, in realtà, la Sindone che ne ha avvolto il cadavere o addirittura il nome dietro cui si nasconde l’Arca dell’Alleanza (gelosamente custodita in una chiesa etiope).1
Fingendosi un libro sulla storia occulta del calice di Cristo, Il Santo Graal a Torre Canavese mette alla berlina i libri sull’archeologia misteriosa, senza sottovalutare la possibilità di usare il mito con l’obiettivo di reincantare un territorio - nella migliore tradizione psicogeografica.
1. Mariano Tomatis, Il Santo Graal a Torre Canavese, Mesmer, Torino 2019, p. 64.
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