La Dalle des Chevaliers: pietra tombale o pala d’altare?
Articolo di Gloria Maddalena (2019)
Il bassorilievo
La Dalle des Chevaliers (pietra dei cavalieri) è un bassorilievo di epoca carolingia, in pietra arenaria di pregevole fattura, ora conservato al museo di Rennes-le-Château. Misura 131 × 72 × 8 cm ed è inserito nei Monuments Historiques di Francia - e quindi protetto.
Nel mito di Rennes-le-Château, per molti questa pietra è importante non tanto per il suo reale valore artistico, ma in quanto nascondeva il tesoro o chiudeva il passaggio attraverso il quale Saunière arrivò al prezioso deposito.
Nel groviglio di date e ipotesi fatte sulla sua scoperta ci conviene credere a Saunière, che riferì a un gruppo di soci della Société d'Etudes Scientifique de l'Aude, in visita al luogo nel 1909, di averla trovata durante la ripavimentazione della chiesa, posata di piatto davanti all’altare maggiore.
Possiamo contare dunque su una data certa, il 1887, e un luogo certo, davanti all’altar maggiore.1
Il lato scolpito era rivolto verso terra, e questo ha permesso la sua conservazione nei secoli, ma ci pensò il nostro abbé a rimediare in fretta, utilizzandola con la parte scolpita verso l’alto in un giardinetto accanto alla chiesa, come gradino per raggiungere la Croce della Missione, alla mercé di ogni piede che passava di lì.
Saunière si comportò allo stesso modo di colui che aveva utilizzato la pietra tanti anni prima per pavimentare la chiesa. Del resto uomo solido e dal gusto eclettico e ridondante dell’epoca, e magari non così colto come a volte ci è stato presentato, era più portato per gli affari che per l’arte e non si rese conto della sua importanza. Meglio così, altrimenti, probabilmente l’avrebbe venduta.
Tisseyre che la scopre nel 1905 scrive nel Bulletin de la Societè d’etudes Scientifique de l’Aude:
È un peccato che questa lastra funga da scalino e sia esposta a tutte le intemperie. Il suo posto sarebbe piuttosto all’interno della chiesa dove potrebbe sostituire onorevolmente qualche panello verniciato o dorato.2
Solo nel 1955 il bassorilievo venne inviato al museo di Carcassonne per ritornare poi definitivamente nel 1970 a Rennes-le-Château.
Il bassorilievo è diviso in due scene distinte: le figure comprimendo gli spazi all'interno degli archi, togliendone quasi l'aria, vengono sbalzate in primo piano. La scena costipata dalle figure tagliate con vivezza, con contorni molto netti e ombre profonde, che assumono atteggiamenti quasi meccanici, esprime vitalità. Gli animali e i gesti dei personaggi sono resi con naturalismo popolaresco molto vivido. Nella parte sovrastante gli archi, a livello della trabeazione, sono rappresentati animali selvaggi in una foresta, quasi un paradiso terrestre.
Secondo alcuni si tratta di una pietra tombale3, per altri è una placca del coro 4, per altri ancora è un pannello di un sarcofago 5.
Non è di facile lettura, soprattutto nella parte sinistra. Si sono sprecate nel tempo le interpretazioni e le datazioni, anche le più fantasiose. Per Henri Fantin, ad esempio, proprietario del castello di Rennes, il bassorilievo risalirebbe al 771 e sarebbe stato scolpito su ordine di Carlo Magno, per il castello appena costruito. I due quadri che - secondo l'autore - sono "più eloquenti di un documento scritto"6 raffigurano la caccia e la guerra, principali interessi dell’imperatore.
Per Henri Guy7 è la riproduzione di un torneo, per Eugène Stublein, invece, in Pierres gravées du Languedoc del 1884, quindi prima dell’arrivo di Saunière a Rennes-le-Château, è la pietra tombale dei principi Sigisberto IV, Sigisberto V e Bera III8. Pietra che racconta di come Sigisberto IV bambino, figlio dell’ultimo re merovingio Dagoberto II, venne salvato e portato a Rennes-le-Château dove in seguito avrebbe preso il titolo di conte del Razès. Ora, dopo accurate ricerche, il libro attribuito a Stublein è ritenuto un falso e non è difficile capire chi ci sia dietro, evidentemente colui che si dichiarava discendente da Dagoberto, Pierre Plantard.
Daniel Dugès e altri vedono nella prima scena addirittura Rolando che suona l’olifante prima di morire e nella seconda Carlo Magno che si allontana.9
Al giorno d’oggi - invece - tutti concordano nel ritenerlo una scena di caccia. Nella scheda esplicativa al museo di Rennes-le-Château si legge:
pannello di sinistra, un personaggio monta all’amazzone un cavallo che beve in una sorgente, i vestiti e la pettinatura ci dicono che si tratta di una donna, la cavallerizza soffia in un corno; pannello di destra, un cavaliere monta un cavallo bardato con sella e briglie, brandisce un giavellotto e tiene in mano uno scudo rotondo, tipico dell’epoca carolingia; la parte superiore è decorata con animali stilizzati.
Al museo è pure esposto un disegno fatto nel 1926 a cura di J. Ourtal10, poco preciso e fuorviante nella parte sinistra, dove il “cavaliere” sembra avere le corna, ma molto realistico nella parte destra.
La Dalle non può rappresentare una battuta di caccia: se la confrontiamo con bassorilievi con questo tema dello stesso periodo, come ad esempio il retro della cassetta in avorio conservata nel tesoro della cattedrale di Troyes o la lastra della cattedrale di Civita Castellana, notiamo che è priva dell’elemento fondamentale, la preda, e dato il periodo, che ci dicono carolingio, del cinghiale.
Lastra di Civita Castellana.
La caccia al cinghiale era l’attività venatoria maggiormente praticata dai nobili carolingi in tutta l’epoca altomedievale e solo a partire dal XI secolo questo tipo di caccia venne soppiantato dalla falconeria.
Le donne poi, visto che nel riquadro a sinistra è raffigurata una donna, in quel periodo, non andavano a caccia con gli uomini e tantomeno suonavano il corno, incombenza riservata ai servi che in genere seguivano a piedi. Inoltre un suonatore di corno non impugnerebbe mai lo strumento in quel modo, con la parte terminale, la campana, rivolta verso il basso. La “donna” della Dalle non sta dunque suonando un corno da caccia e non può farlo dal momento che che lei è raffigurata (viso e corpo) di prospetto mentre il “corno” di profilo.
A sinistra: Suonatore di corno in un mosaico di una villa gallo-romana a Orbe, in Svizzera.
A destra: Riquadro di sinistra della Dalle.
E ancora il cavaliere di destra non può reggere uno scudo, visto che l’oggetto è grande più o meno come la sua testa, ricordiamoci che chi ha sudato su questa pietra è un artista, basta guardare il cavallo. Anche se piccolo e rotondo lo scudo carolingio, che deriva dal rochade merovingio, aveva una circonferenza decisamente superiore, un bordo metallico, rivestimento in cuoio e umbone al centro.
Se guardiamo l’immagine con la lente notiamo che la testa del cavaliere è sottolineata da un motivo a zig-zag a voler indicare i capelli, lo stesso motivo si nota in quello che è ritenuto uno scudo.
A sinistra: Scudo carolingio nel capitolare di Asquisgrana dell’802.
A destra: Riquadro di destra della Dalle.
Un’interessante descrizione del bassorilievo la dà René Descadeillas, anche se pure lui la ritiene una scena di caccia:
Le figure rappresentano un uomo e una donna a cavallo, pronti a partire per la caccia. Non c’è dubbio si tratta di un corteo di signori in tenuta caratteristica.
Ora, la Dalle non può rappresentare un’unica sequenza narrativa perché la lastra è divisa nettamente in due parti, rese incomunicanti tra loro dalle arcate. Inoltre le due scene si svolgono in ambienti fisici diversi e non vi è continuità spaziale: nel primo quadro la donna è ferma e tutta l’immagine guarda da destra verso sinistra, nel secondo quadro il cavaliere si sta muovendo nella direzione opposta, da sinistra verso destra.
Continua Descadeillas:
Si nota che la donna è pettinata accuratamente. E’ vestita con una veste di cui si distinguono ancora le pieghe verticali strette in vita da una cintura, lei cavalca all’amazzone. Con la mano destra suona il corno. Il suo braccio sinistro è completamente sparito ma la mano tiene qualche oggetto di cui si vede un frammento mutilato giusto al di sotto della cintura. Il cavallo è fortemente degradato. Lo vediamo in riposo.11
Non è un cavallo perché non è bardato, non ha né sella né finimenti, ha il muso più largo e tozzo e non regge il confronto con quello di destra, inoltre è stanco e assetato. Come mai se la caccia deve ancora iniziare? Descadeillas tuttavia è l’unico finora a riferire che la donna tiene con la mano sinistra un oggetto indefinibile. E che oggetto! Si tratta nientemeno che di Gesù Bambino.
Non so se sia mai stato fatto un calco del bassorilievo, ma mi sembra evidente al primo colpo d’occhio su ciò che rappresenta. Raffigura due episodi della vita di Gesù. Nel primo quadro la Sacra Famiglia sta fuggendo in Egitto. Matteo scrive (2, 13-15) che Giuseppe, avvertito in sogno che Erode cercava Gesù per ucciderlo, portò in salvo il bambino e la madre in Egitto dove la famiglia rimase fino alla morte d’Erode. Maria dalla lunga veste e dalla acconciatura elaborata, in groppa all’asino, tiene col braccio sinistro Gesù Bambino, del quale sono ancora ben visibili testa e braccia. Maria, come l’asino affaticato, si sta dissetando a una fonte, raccogliendo acqua con la tazza che tiene nella mano destra.
Quello che è stato visto come un corno da caccia in realtà è lo zampillo d’acqua che esce dalla sorgente e che scorre poi nel recipiente dove si sta abbeverando l’asino.
Dietro a lei, sulla destra, in una zona molto logorata dal continuo calpestio, si intuisce ancora, quando la luce colpisce con una particolare inclinazione la pietra, la sagoma di San Giuseppe.
Nel quadro di destra della Dalle il soldato che sta per alzare una lunga spada, la spatha romana, per colpire e uccidere il bambino che tiene con la mano sinistra, raffigura “la strage degli innocenti”.
Non sono momenti della stessa scena. Il soldato va da una parte, Maria sta fuggendo dall’altra. Ricordiamo che la chiesa di Rennes almeno fino al XIII secolo era dedicata alla Beata Maria.
Sempre nell’iconografia tradizionale di tutti i tempi “la strage degli innocenti” ci viene rappresentata dal soldato o dai soldati con la spada a mezz’aria nell’atto di colpire un bambino, come nel sarcofago del IV secolo detto dei santi innocenti che si trova nella chiesa di san Maximin in Provenza proprio nella cripta che dicono conservi il corpo di santa Maria Maddalena. Inoltre si trova spesso il tema della Fuga in Egitto accanto a quello della Strage degli Innocenti.
Ipotetica ricostruzione della Dalle (Marilì Menato).
La Dalle è un documento eccezionale. Raro se non un unicum per l’epoca, VIII-IX secolo, è il racconto della prima scena, che descrive un momento particolare della fuga in Egitto: una tregua nell’ansia del viaggio precipitoso. San Giuseppe non è davanti a far strada tirando l’asinello, ma è fermo di lato e guarda, mi piace pensare con tenerezza, Maria che si sta dissetando come lo stanco asino e aspetta con pazienza il proprio turno. È un’immagine suggestiva e di pregio artistico: lo scultore che a destra si mostra abile nel dare forza e vitalità a un superbo cavallo è al tempo stesso capace di trasmettere dolcezza e semplicità nel primo quadro.
Sono evidenti negli archi resi a granulazione e nella colonnina tortile ionica, elementi decorativi tipici dei gioielli della produzione orafa celtica, caratterizzati dalla lavorazione a filigrana, a granulazione e a cerchi martellati, derivati dai contatti con i cesellatori del mondo mediterraneo. Con questi riferimenti l’artista ha voluto rappresentare la sacralità della volta celeste retta dalle preziose colonne del tempio ionico sopra cui scorre il giardino dell’Eden.
Il tema del riposo durante la fuga prenderà piede nell’arte solo molto più tardi, quando verranno inseriti nei dipinti episodi miracolosi come l’acqua che sgorga da una roccia nel deserto. Comincia ad apparire nel XV secolo, nei Paesi Bassi, e diventa usuale nella pittura italiana e francese del Cinquecento e del Seicento, da Caravaggio fino a Poussin.
Si proprio lui, Nicolas Poussin, una vecchia conoscenza nel mito di Rennes-le-Château.12 Dipinse sia La strage degli innocenti che La fuga in Egitto - quest’ultima in diverse varianti, tra le quali spicca uno splendido Riposo durante la fuga in Egitto. Anche qui l’asinello si sta dissetando a una fontana mentre san Giuseppe beve l’acqua che gli viene offerta, Maria e Gesù mangiano. Ovviamente non c’è alcun rapporto tra il bassorilievo di Rennes e i quadri di Poussin se non l’argomento.
E appunto perché raro, forse unico all’epoca, il tema del riposo acquista un valore particolare: c’era la necessità, a Rennes, di introdurre in un contesto religioso cristiano l’elemento acqua, acqua che diede conforto durante la fuga in Egitto, acqua che permise alla Sacra Famiglia di raggiungere la salvezza, acqua che sul posto era venerata da secoli.
Una delle principali caratteristiche del villaggio infatti è di avere un’importane sorgente sotterranea a getto continuo anche d’estate.
Il primo altare
La Dalle des Chevaliers era con ogni probabilità la pala - o meglio l’ancona - in pietra dell’altare maggiore, l’unico in verità all’epoca, della primitiva chiesa di cui si conserva il pilastro della stessa epoca e fattura, e quindi opera della stessa mano.
È stata attribuita all’epoca carolingia, VIII-IX secolo, ma per come sono sbalzate le figure e per il motivo palliniforme potrebbe essere anche più antica. L’archeologo Barattolo, infatti, vide a Rennes
chiari elementi di un ciborio molto antico, VI secolo, costituito da un capitello e da una colonna, murata attualmente nel campanile.13
Se c’era un tabernacolo, c’era un altare, se c’era un altare c’era una pala, se c’erano altare e pala c’era una chiesa o una cappella. Il vecchio altare, demolito da Saunière, era sostenuto da due pilastri, uno lavorato e un altro liscio. Il pilastro scolpito fu utilizzato in seguito capovolto dal sacerdote, come struttura di sostegno della statua della Vergine nel Giardino della Missione non prima, però, di averlo tagliato di brutto in altezza alterandone le proporzioni e di avervi fatto incidere “Pénitence Pénitence”14 sul capitello, e “Mission 1891”15 alla base. Con tutti gli amici che aveva, anche importanti, perché non chiedere un parere competente? Ma non era nel suo carattere.
Il pilastro, in origine, come in altre chiese della regione, fungeva da supporto unico all’altare che era appoggiato al muro che divideva l’abside dalla piccola navata. Questa tipologia d’altare fece la sua comparsa in Gallia alla metà del V secolo e raggiunse la sua massima diffusione nel corso del VII secolo.16
È stata ora recuperata anche la tavola d’altare, sempre in pietra, che si trova al museo del paese; Saunière l’aveva trasformata con disinvoltura nel “pied de feu” del camino della sala da pranzo del Presbiterio. Da una mensa all’altra, dalla sacra alla profana.
Oggi si potrebbe ricomporre l’antico, raro e straordinario gruppo artistico di altare con pala dal momento che si può disporre, per un caso veramente fortunato, di tutti gli elementi.
L’altare maggiore, prima dell’intervento di Sauniére, era già stato dunque manomesso probabilmente in occasione della nuova dedica della Chiesa. Non si conoscono né la data né il motivo del cambiamento, che può essere molto semplice, come la particolare devozione dell’allora signore del paese, o molto più complesso, come abbiamo visto nel precedente capitolo.
Certo Maria Maddalena entrò in chiesa con tanta forza e prepotenza da scalzare dal posto più importante, sopra l’altar maggiore, la Vergine, che fu letteralmente detronizzata e deposta a faccia in giù ai piedi dell’altare.
L’acqua e le sorgenti sacre
Si sa che al 1253 la chiesa era ancora intitola alla Beata Vergine, come a Maria furono dedicate due altre chiese, non lontano da Rennes, Notre Dame di Marceille a Limoux e Notre Dame du Cros a Caunes Minervois, chiese sorte accanto a sorgenti ritenute miracolose, santuari d’acqua in epoca protostorica. Mille mali species Virgo levavit aqua ci dice l’iscrizione posta sopra la sorgente a Notre Dame di Marceille.
Ma importante era il culto dell’acqua nel mondo celtico, lo dicono le iscrizioni, le offerte votive, i reperti archeologici e la diffusione dei toponimi. Le sorgenti erano meta di pellegrinaggio da parte di tutti coloro che volevano dimostrare gratitudine o chiedere una guarigione. L’ammalato beveva l’acqua o si immergeva in vasche apposite. Le donne si lavavano nell’acqua, oppure indossavano vestiti che vi erano stati immersi per diventare fertili o per ottenere un facile parto. La divinità delle sorgenti era Brigantia, che a volte agiva in coppia con Belenus, il dio della bellezza e della salute. Belenus il dio delle sorgenti e dell’acqua curativa era presente anche col nome di Grannos e di Boruo. A poca distanza da Rennes-le-Château il paese di Granès ha conservato nel nome il ricordo della divinità lì presente.
Credo che la testa di divinità gallo-romana rinvenuta nel corso dell'ultimo secolo alla base di una roccia sopra il villaggio di Rennes-les-Bains sia proprio Brigantia, la dea protettrice delle sorgenti. Infatti era scolpita in uno sperone roccioso del “Cap de l’Homme” che si innalza per quindici metri proprio sopra tutte le sorgenti calde di Rennes les Bains.
Gli occhi senza pupille ricordano le statue dell’oppidum gallico di Roquepertuse.
Nelle antiche iscrizioni, in Gallia, era Brigantia, Briganti o Brigindu. Il suo nome deriva dalla radice Brig che significa altura, ma la forma derivata Brigantia, secondo Delamarre, significa “l’eminente” nel senso di nobile, cioè “colei che si alza in alto”.17
I luoghi di culto dei Celti, legati all’acqua, continuarono a vivere anche dopo l’occupazione romana. Solo la divinità alla quale erano dedicati cambiò nome, ma le caratteristiche rimasero. Belenus diventò prima Beleno-Apollo e poi semplicemente Apollo, la sua compagna Brigantia divenne Minerva. Da notare che Notre Dame di Cros si trova appunto a Cunes di Minervois.
Gregorio di Tours descrive il santuario tipico celtico dicendo che
i Galli rappresentavano in legno o in bronzo le membra sofferenti che desideravano guarire e le mettevano in un tempio. Gettavano tavolette con iscrizioni nella sorgente per chiedere l’intervento divino nelle malattie o disgrazie. Altre volte si rivolgevano direttamente all’acqua pregandola di sanare, o fluire o di gonfiarsi.18
Nella zona di Rennes les Bains sono stati trovati ben quattro ex voto: un avambraccio completo, con la mano tesa che tiene un uovo, in marmo bianco, una mano che tiene un serpente e una mano che regge un tessuto di lino e infine un’altra piccola mano di terracotta.19
Nel mondo cattolico, Belenus-Apollo è stato sostituito da san Martino e Brigunda-Minerva, la dea protettrice delle future mamme, da Maria. E quale donna - se non Maria, madre di Gesù - poteva essere più adatta nel capire le apprensioni delle donne, soprattutto del tempo? La speranza di un parto senza complicazioni e di avere in seguito latte in abbondanza...
A Rennes-le-Château c’era - e c’è tuttora - una cisterna naturale ipogea posta sotto la piazza del castello che raccoglie l’acqua di una sorgente attraverso un sotterraneo, da questo parte un’altra galleria ora crollata dopo qualche decina di metri e quindi non esplorabile. I primi a incanalare l’acqua nella cisterna furono i Romani, sfruttando una galleria naturale.
Per alcuni l’acqua proviene dalla parte alta di Rennes, vale a dire dal domaine di Saunière. Probabilmente in paese c’erano altri punti di raccolta d’acqua come sta a indicare, per esempio, il pozzo che si trovava nel terreno accanto alla chiesa, pozzo fatto saltare in aria da uno dei cercatori d’oro. Sempre coloro che raccontano questo episodio parlano di pozzo e non di cisterna. Poi una notizia veramente interessante ci viene da Jean Pellet, il primo cercatore del tesoro di Rennes:
Nel giardino dell'abate… Henri Buhion ci ha costretti a chiudere tutto mentre vedevamo la volta di un sotterraneo. Versò sopra una colata di cemento per fare la pista da ballo di cui aveva bisogno per il suo hotel, perché la domenica successiva, avrebbe avuto una prima comunione. Per fare questo sotterraneo, si erano appoggiati su faglie naturali, che in andavano verso il castello in un senso, e dall'altro lato biforcandosi. Quando mi sono interessato alla fonte, ho potuto constatare che gli scarichi sono d’epoca romana. L'acqua fu portata dai tempi dei Romani da una sorgente zampillante della portata di 3 o 4 m al giorno.
Non è dunque da escludere che dal luogo dove sorse la chiesa di Maria Maddalena o dalle immediate vicinanze si potesse raggiungere la sorgente attraverso un sotterraneo.
Questa ipotesi ricorda da vicino l’ipogeo di Santa Maria in Stelle noto come “Pantheon” a pochi chilometri da Verona, raggiungibile fino al Quattrocento da una scalinata posta all’interno di una chiesa dedicata a Maria. In seguito, con l’ampliamento della chiesa, la scala venne murata e ne fu costruita un’altra accanto tuttora esistente. In fondo alla scala, a una profondità di quattro metri, uno stretto cunicolo porta a una cella quadrata, ai lati della quale si aprono due ambienti absidati con pavimenti a mosaico e affreschi alle pareti e al soffitto. Il cunicolo, chiuso da una porta in ferro, s’inoltra poi nel cuore della collina per una ottantina di metri fino a raggiungere una piscina semicircolare scavata nella roccia, vasca di raccolta delle acque di una sorgente sotterranea.
Il complesso fu costruito nel III sec. d.C., su un precedente luogo di culto legato all’acqua, dal magistrato Publio Pomponio Corneliano per adibirlo a monumento funebre della sua famiglia. Alla metà del IV secolo fu consacrato al culto cristiano e venne utilizzato almeno fino al XII secolo quando sopra vi fu costruita la prima chiesa. Gli affreschi romani sulle pareti e sui soffitti a volta furono sostituiti a partire dal quarto secolo da affreschi che rappresentano temi tratti dall’Antico e Nuovo Testamento. La maggior parte sono ora scomparsi per l’alta umidità, ma rimane ben visibile e chiara nel vano di sinistra un’eloquente “strage degli innocenti”.
La Dalle des Chevaliers era dunque un elemento fondamentale della primitiva chiesa e costituiva con il suo messaggio il raccordo tra il vecchio culto e il nuovo. Serviva, con la sua rappresentazione di una sorgente legata a un importante episodio della vita di Maria, a dare continuità al luogo sacro. Con questa pietra il santuario d’acqua prima celtico e poi gallo-romano divenne cristiano.
Non so se sollevando questa pietra Saunière scoperchiò un tesoro; so per certo che essa stessa era (e resta) un tesoro.
Tratto dal libro di Gloria Maddalena, Rennes-le-Château: quel che resta del mito, 2019.
1. Antoine Fagès, "De Campagne-les-Bains à Rennes-le-Château", in Bulletin de la Société d'Etudes Scientifique de l'Aude, Vol. 20 (1909), p. 128.
2. Elie Tisseyre, "Une excursion à Rennes-le-Château", in Bulletin de la Sociètè d’Etudes Scientifique de l’Aude, vol. 17, 1906, p. 98.
3. Henri Guy, "Reproduction d’une Pierre tombale carolingienne découverte à Rennes-le Chateau", in Bulletin de la Société Scientifique de l’Aude, Vol. 31, 1927, p. 197.
4. Brigitte Lescure, Recherches archéologiques à Rennes-le-Château du VIII° au XVI° siècles, Mémoire de maitrise d'histoire de l'art, Université de Toulouse Le Mirail, 1978 cit. in Paul Saussez, Au tombeau des seigneurs (su CDRom), ArkEos, 2004, slide 9.
5. Francesco Garufi, Rennes-le-Château: un’inchiesta, Roma 2004, p. 230.
6. Henri Fatin, "Sur la pierre tombale carolingienne de Rennes-le-Château", in l'Indépendant (de Perpignan), 1.9.1956 (ora in Marius Fatin, "Sur la pierre tombale carolingienne de Rennes-le-Château", Pégase, n. 1, settembre/dicembre 2001, pp. 7-9).
7. Henri Guy, Bulletin de la Société d’Etudes Scientifique de l’Aude, Vol. 31, 1927, p. 197.
8. AA.VV., L’ABC de RLC, Arqa, 209, p. 504.
9. Ibidem, p. 404.
10. Guy 1927.
11. René Descadeillas, Mythologie du trèsor de Rennes, Carcassonne 1991, p. 134.
12. In diverse opere su Rennes si racconta che Saunière durante il suo soggiorno, mai provato, a Parigi, acquistò una copia del dipinto, conservato al Louvre, di Nicolas Poussin intitolato Les Bergers d’Arcadie. Il dipinto avrebbe contenuto indicazioni per svelare un segreto, conosciuto dal pittore, che avrebbe mandato in rovina re e trono di Francia all’epoca. Poussin nel dipingere il quadro si sarebbe ispirato a una tomba, detta tomba d’Arques, che si trovava nei pressi del villaggio di Serres, quindi non lontano da Rennes. Peccato che la tomba, oggi distrutta, sia stata costruita solo agli inizi del XX secolo.
13. Francesco Garufi, Rennes-le-Château: un’inchiesta, Hera Edizioni, Roma 2004, p. 211.
14. "Pénitence, pénitence!" sono le parole pronunciate dalla Madonna di Lourdes a Bernadette il 24 febbraio 1858.
15. La scritta MISSION 1891 si riferisce alle celebrazioni religiose (esercizi spirituali e processione della Vergine del 21 giugno 1891 organizzate da Saunère in occasione della prima comunione di ventiquattro bambini).
16. Pierre Dourthe, "Typologie de l'autel, emplacement et fonction des reliques dans la péninsule ibérique et le sud de la Gaule du Ve au XIe siècle", in Bulletin Monumental, Parigi 1995, p. 14.
17. Xavier Delamarre, Dictionnaire de la langue gauloise, 2003, p. 8.
18. J.A. MacCulloch, La religione degli antichi Celti, Neri Pozza, Vicenza 1998, p. 190.
19. U. Gibert e G. Rancoule, "Prospections dans le Limouxin" in Bulletin de la Sociètè d’Etudes Scientifique de l’Aude, vol. 69, 1969, p. 153.
Il materiale è distribuito con Licenza Creative Commons BY-NC-SA 4.0