Il gioco infinito di Rennes-le-Château
Articolo di Mariano Tomatis
Lo studio di Rennes-le-Château e la continua rielaborazione della sua mitologia sono in realtà un elaborato gioco? Seppure a prima vista impertinente, la domanda può aprire un’interessante riflessione, estendibile a molti altri ambiti della cosiddetta “archeologia misteriosa”.
Rennes-le-Château è un minuscolo paese della Linguadoca dove, alla fine dell’Ottocento, un sacerdote divenne ricchissimo grazie a un presunto tesoro ritrovato nella regione. Dagli Anni Cinquanta in poi, sulla natura del tesoro si è molto favoleggiato, il luogo è diventato un polo turistico di grande interesse e le comunità di ricercatori si sono moltiplicate, soprattutto in Francia e in Inghilterra. Intorno alle vicende del parroco del villaggio è fiorita una mitologia che ha coinvolto discipline molto diverse: dall’alchimia all’ufologia, dal millenarismo allo studio delle geometrie sacre, dall’esegesi biblica all’archeologia psichica. Per descrivere l’inarrestabile sovrapporsi di strati a un piccolo nucleo storico ben documentato, Mario Iannaccone ha usato l’espressione “mito agglutinante”. Ma in che senso la comunità di appassionati di Rennes-le-Château può essere paragonata a un gruppo di “giocatori”?
Nel suo libro Giochi finiti e infiniti1 il teologo americano James P. Carse distingue i giochi sulla base di due grandi categorie:
Un gioco potrebbe essere chiamato “finito”, l’altro “infinito”. Un gioco finito si gioca per vincerlo, un gioco infinito per continuare il gioco.
Il Monopoli, la battaglia navale e gli scacchi sono giochi finiti: tutti ammettono al massimo un vincitore, hanno un inizio e una fine ben determinati, e si giocano per vincere. Appassionarsi e contribuire alla mitologia di Rennes-le-Château è, al contrario, un gioco infinito. Nelle parole di Carse:
Un gioco infinito non ha limiti di spazio o di numero. […] A un gioco infinito può partecipare chiunque lo voglia.
“Partecipare” al gioco di Rennes-le-Château consiste nel raccontarne la storia, aggiungerne dettagli, pubblicare articoli, discuterne sui forum di discussione, creare mappe, suggerire collegamenti inediti, proporre estensioni in nuove discipline, scrivere libri, organizzare convegni, percorrerne le strade.
Giochi finiti e infiniti condividono molto materiale. Proprio come il Risiko, il gioco di Rennes-le-Château offre svariate mappe geografiche, e addirittura un piano di gioco dove muoversi che è in scala 1:1 rispetto alla storia raccontata. Come i giochi di ruolo, quello di Rennes-le-Château presenta una moltitudine di libri pieni di indizi, dipinti, iscrizioni, personaggi e retroscena storici, che offrono un ricchissimo background informativo e regalano una potente esperienza immersiva. Come nel Sudoku, non tutte le combinazioni sono ammesse: i vari personaggi possono intersercarsi nello spazio e nel tempo con relativa facilità, si possono ipotizzare rapporti di ogni tipo, ma un individuo vissuto nel XX secolo difficilmente si può collegare direttamente con un altro nato due secoli prima. Però la libertà di azione consente di fare di una cantante l’amante di un prete, di una governante sua figlia e di un confratello la vittima di un omicidio.
Entrambi i tipi di gioco sono normati da regole, ma se nel caso di un gioco finito queste non possono cambiare, le regole di un gioco infinito devono continuamente essere modificate nel corso del gioco:
Le regole cambiano quando i giocatori di un gioco infinito convengono che il gioco è messo in pericolo da un esito finito, ossia dalla vittoria di alcuni giocatori e dalla sconfitta di altri.
Il gioco di Rennes-le-Château diverte solo a condizione che esista un mistero di fondo, un enigma irrisolto da approfondire. La fine del suo gioco infinito è continuamente minacciata da chiunque affermi di possedere la chiave definitiva (in positivo o in negativo) del problema. Qualunque contributo accademicamente solido viene immediatamente rigettato dalla folta comunità di giocatori, perché ogni affermazione demistificante chiude almeno una delle possibili estensioni del gioco, minacciando lo scopo stesso del gioco infinito: quello di continuare indefinitamente. Dunque, quando la minaccia si palesa:
le regole del gioco infinito vengono cambiate per impedire a qualcuno di vincere il gioco.
La comunità di giocatori ha dimostrato, fino a oggi, di saper resistere a qualsiasi tentativo di “chiusura”; per analizzare le dinamiche legate a questi momenti di crisi sarebbe sufficiente rileggere le violente reazioni seguite alla pubblicazione, nel 1990, del libro di Jean-Jacques Bedu Rennes-le-Château: Autopsie d’un Mythe. Parlare di “autopsia” significa ritenere morto il gioco: Bedu è stato punito con l’estromissione dalla comunità dei ricercatori e il suo libro del tutto ignorato. In Italia ha scatenato una reazione simile il contributo di Mario Iannaccone Rennes-le-Château, una decifrazione, pubblicato nel 2004. In previsione di questo, Iannaccone è stato abile a suggerire percorsi di indagine alternativi – indicando, ad esempio, in Maurice Leblanc una sorta di “mandante” del grande gioco: ciò ha consentito ad alcuni giocatori di continuare la partita lungo questa direttrice, accogliendo l’apertura dell’autore lombardo.
James Carse sottolinea un altro punto chiave nella differenza tra giochi finiti e infiniti. Nei giochi finiti, la sorpresa è tutt’al più subìta:
Se non siamo addestrati a far fronte a ciascuna delle possibili mosse di un oppositore, abbiamo certamente maggiori probabilità di perdere. Avremo perciò le maggiori probabilità di vincere se riusciremo a sorprendere il nostro avversario.
Essere sorpresi può significare soccombere. Nei giochi infiniti, al contrario, la sorpresa è uno stimolo:
I giocatori di un gioco infinito continuano il loro gioco attendendosi di essere sorpresi. Quando la sorpresa non è più possibile, non si gioca più. La sorpresa mette fine al gioco finito; essa è la ragione per la prosecuzione del gioco infinito.
Dagli Anni Cinquanta a oggi, il mito di Rennes-le-Château è stato oggetto di così tante mutazioni da garantire uno stato di sorpresa continuo. Nel 1956 il tesoro del villaggio è attribuito a Bianca di Castiglia. Negli Anni Sessanta compaiono le prime mappe ricoperte da strani disegni geometrici e le prime pergamene utili per ritrovarlo. Negli Anni Settanta prende forma un’associazione segreta – il Priorato di Sion – che conoscerebbe la verità sulla natura dell’enigma: il tesoro perde le connotazioni fisiche per trasformarsi nella linea di sangue dei Merovingi. Gli Anni Ottanta vedono l’esplosione del mito in tutto il mondo grazie a un best seller – Holy Blood Holy Grail – che introduce un elemento eretico: Maria Maddalena e Gesù si sarebbero sposati e la loro discendenza avrebbe trovato rifugio nel villaggio francese. Negli Anni Novanta si moltiplicano le ipotesi geometriche: Rennes-le-Château si troverebbe al centro di una mostruosa griglia simbolica che collega campanili, menhir, grotte e rilievi naturali. E forse gli UFO utilizzerebbero la zona come luogo privilegiato di atterraggio. Il nuovo millennio si apre con la pubblicazione di un romanzo di enorme successo, che a Rennes affonda le sue radici: Il Codice Da Vinci. Qualche anno più tardi, alcuni produttori cinematografici affermano di aver trovato nei dintorni una tomba templare contenente il corpo della Maddalena, il Santo Graal, delle monete romane e reliquie di ogni tipo. In questi ultimi anni, chi ha paura della profezia Maya sulla fine del mondo trova proprio nei pressi di Rennes-le-Château un rifugio sicuro: il monte Bugarach, elemento chiave nella mitologia del villaggio, costituirebbe il punto fisso del cosmo, i cui abitanti non moriranno all’alba del 21 dicembre 2012.
In Italia il mito di Rennes è continuamente minacciato dalla noia; dopo la pubblicazione, nel 2001, del libro di riferimento per gli appassionati – Rennes-le-Château, a firma di Giorgio Baietti – i giocatori italiani non hanno fornito contribuiti significativi allo sviluppo del gioco. Mariano Bizzarri aveva tentato una curiosa rilettura in chiave “guenoniana” delle vicende del villaggio, ma la comunità nostrana non ha saputo offrire evoluzioni interessanti al grande puzzle.
Di recente il gioco infinito ha ricevuto nuova linfa da una corrente ludica nata nel nostro paese, che si è dimostrata molto prolifica: il gioco consiste nel trovare collegamenti tra le città italiane e Rennes-le-Château. Uno degli aspetti più curiosi di questa corrente è il fatto che le città identificate si trovano sempre nel raggio di pochi chilometri dalla residenza degli autori proponenti; per questo motivo, all’estero tale corrente viene considerata la conferma di un certo “provincialismo” nell’approccio italiano alla materia.
Giorgio Baietti, nato in Liguria e trasferito nel Monferrato, ha identificato le due Rennes-le-Château italiane nelle cittadine di Altare (in Liguria) e Saliceto (nel cuneese). Claudia Cinquemani Dragoni vive in Maremma e ha identificato la Rennes-le-Château italiana in una serie di località maremmane. Marcuzio Isauro vive a Treviso e ha trovato collegamenti con Rennes-le-Château a Santa Lucia di Piave (in provincia di Treviso): nei suoi articoli si interroga sulla cosiddetta “connessione veneta”. Alberto Schonwald abita in Romagna e – guarda caso – trova a Faenza una iscrizione in codice che fa riferimento a Rennes-le-Château. Mario Farneti vive e lavora a Gubbio, ed è l’autore (insieme a Bruno Bartoletti) di Gubbio: la Rennes-le-Château italiana.
Questa tendenza rivela un generale atteggiamento di invidia nei confronti dei cugini francesi: trovare tante piccole Rennes-le-Château italiane contribuisce a ridimensionare la mitologia d’oltralpe rivendicando un ruolo del nostro Paese nel Grande Complotto Universale. E poi il villaggio francese dista 550 chilometri dal confine italiano, troppi per alcuni e comunque al di fuori dei propri panorami quotidiani. All’epoca di Francesco d’Assisi si costruivano Via Crucis a grandezza naturale sulle colline dietro casa: servivano a offrire, a chi non poteva permettersi il viaggio in Terrasanta, una riproduzione artificiale delle terre ove era vissuto Gesù. Seguendo uno schema simile, le svariate Rennes-le-Château italiche stanno al villaggio originale come la Valle dei Templi di Gardaland sta a quella autentica.
La vera natura di tali collegamenti è lucidamente messa in luce da Umberto Eco ne Il Pendolo di Foucault, che ben descrive l’assoluta libertà creativa da parte di questi autori e il complice entusiasmo di un pubblico di giocatori che ne accolgono con favore i nuovi lavori, trattandosi di precise mosse verso una prosecuzione indefinita del gioco. Io stesso – ormai una decina di anni fa – avevo ironizzato sul provincialismo italiano proponendo una miriade di collegamenti tra Rennes-le-Château e il mio paese, Torre Canavese.
Eco aveva descritto l’infinita potenzialità ludica del mito di Rennes-le-Château sull’Espresso, scrivendo a proposito dei tre autori di Holy Blood Holy Grail:
La loro malafede è così evidente che il lettore vaccinato può divertirsi come se facesse un gioco di ruolo.2
Gli studiosi più seri si trovano in enorme difficoltà a interagire con la comunità di appassionati di Rennes-le-Château perché la dimensione ludica dell’esperienza non è immediatamente evidente, e per quanto solidi siano gli argomenti proposti, questi non hanno alcuna efficacia nell’intaccare la mitologia complessiva: il gioco deve continuare a spese della verità storica e delle evidenze contrarie.
Eppure gli elementi esplicitamente giocosi sono innumerevoli: i libri sull’enigma storico abbondano di quadri da interpretare come elaborati rebus, lunghe iscrizioni su cui cercare messaggi in codice come fossero crucipuzzle, mappe su cui unire i puntini per formare una figura, anagrammi da cui ricavare sensi ulteriori…
Il problema non sta nel gioco, quanto nella mancanza di vaccinazione: per limitarci all’ambito italiano, non c’è traccia di ironia negli autori che propongono le diverse connessioni con il villaggio francese, la cui partecipazione al gioco infinito di Rennes-le-Château è in gran parte inconsapevole. In effetti, di questo passo, tutte le città italiane diventeranno “la Rennes-le-Château italiana” sulla base di argomenti simili a quelli avanzati fino a oggi, arrivando a una situazione simile a quella che si prospetta per Facebook:
in qualsiasi social network si ricevono molte richieste di connessione, anche da parte di perfetti sconosciuti. Semplicemente, molti utenti giocano in modo molto infantile ad avere il maggior numero possibile di contatti. Il risultato di questa corsa ai collegamenti, al limite, è una rete dove tutti sarebbero connessi con tutti, ovvero qualcosa che avrebbe più o meno lo stesso valore e la stessa utilità di un elenco telefonico.3
Nel già citato romanzo di Umberto Eco, i protagonisti si accorgono che il Pendolo di Foucault può essere staccato dalla volta del Conservatoire di Parigi e attaccato in qualsiasi altro luogo della terra: il suo funzionamento non cambia, dunque il museo parigino non ha nulla di speciale in sé. Nonostante ciò, commenta Diotallevi:
la sensazione è che uno nella vita ha attaccato il Pendolo da tante parti, e non ha mai funzionato, e là, al Conservatoire, funziona così bene… E se nell’universo ci fossero punti privilegiati?4
Rennes-le-Château è certamente un luogo privilegiato. E nel contesto del suo gioco infinito, la prospettiva che voglio valorizzarne è quella (gioiosamente anarchica) della psicogeografia.
1. James P. Carse, Finite and Infinite Games, Ballantine Books, New York 1986 (ed. it. Giochi finiti e infiniti. La vita come gioco e come possibilità, Mondadori 1987).
2. Umberto Eco, “La bustina di Minerva”, in L’Espresso, 23.8.2001, p. 166.
3. Fabio Metitieri, Il grande inganno del web 2.0, Laterza, Bari 2009, p. 126.
4. Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, Bompiani, Milano 1988.
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